venerdì, giugno 29

Morning light

La sveglia suona, le 7 del mattino. Appena un ronzio del cellulare, ma è sufficiente per lei.
Si muove pigramente, gli occhi ancora chiusi. È il contatto, che la sveglia completamente, il suo braccio che va a scontrarsi con la pelle calda dell'uomo disteso al suo fianco. Ruota il viso e schiude le ciglia quanto basta per vedere i suoi lineamenti distesi. Lui si gira nel sonno, senza svegliarsi. Helen sorride, si solleva sul gomito sinistro e lo osserva per un poco, ormai seria in viso. Le dita sfiorano lievi la sua spalla nuda. Forse un tentativo di svegliarlo, ma senza successo. O forse non vuole davvero disturbare quel sonno sereno. Stende la sinistra oltre i capelli color mogano sparsi sul cuscino, va a sfiorare le dita sintetiche, che hanno una reazione involontaria. Come fossero vive. E lo sono. Sono parte di lui, anche se a volte è lui stesso a comportarsi come se così non fosse. Le accarezza piano, senza che ora facciano nulla, rilassate, come il respiro regolare che gli solleva e abbassa il petto. Ancora un accenno di sorriso pensieroso, poi scivola fuori dal letto e va a prepararsi, per una giornata di lavoro.




 You are a sad song to me
filled with tender words
and played in minor key.

You are a soft lullaby.

Soothe me down at night.
A nightingale reply.

Play the song and let me fly away.
Let the tune fade out at break of day.

Let me stay here for a while,
till the day recalls the light,
and the song they sing
in minor key
descending.

 

giovedì, giugno 28

A photo...



È strano. Pensare a una persona guardando non una sua foto, ma una tua...
Eppure in questa foto non riesco a vedere me. Vedo lui. Il momento in cui mi fa ridere prendendo il cellulare, e scatta questa foto; i momenti prima di questo, che mi hanno reso così facile ridere. E quelli dopo, quando ridere è diventato più complicato.
Poi guardo il telefono e... no. Questa sera no. 

E per Chris è tutto molto semplice. Seguire quello che ti fa stare bene, dice.
E quando non sai cosa ti faccia stare davvero bene? E quando vorresti, ma qualcun altro non te lo consente? E quando lo fai, e finisci per rovinare tutto quanto? 
Dio sa quanto vorrei provarci, a fare come dice lui. A essere come dice lui.
Ma no. Io sono un'altra cosa.

Io sono quella che sa esattamente quanto ci vorrebbe un abbraccio, in certe situazioni. Ma sa anche quanto sia difficile accettarlo, per quelle come noi, e si trattiene.
E quella che vorrebbe formare un numero per sentire una voce, poi non lo fa. E nemmeno ne compone un altro. Perché no, non è la stronza che usa le persone, come qualcuno ha pensato, almeno per un po'.
E poi non so. Non so cosa voglio, non so perché devo riempirmi la vita di problemi anche quando sembra scorrere in modo così tranquillo e costante, senza scossoni.

E stasera Eileen mi ha lasciato un messaggio in redazione. Dice che ce l'ha fatta. Mi chiedo cosa voglia dire, questo.
Domani chiamerò quel numero, e avrò qualche risposta. O altre domande. 
La mia vita sembra sia piena solo di domande. 


venerdì, giugno 22

Unexpected gifts - Again


Una giornata impegnativa. Distesa nell'acqua che ribolle con delicatezza, da cui affiorano le spalle, parte del decolleté e un ginocchio che tiene ripiegato, si sta rilassando accanto alle immagini estremamente verosimili di una spiaggia tropicale, che il programma Ambience di Jade trasmette sullo schermo che ricopre l'intera parete alla sua sinistra. Immagini accompagnate da tutti gli effetti sensoriali del caso: una lieve brezza, il rumore del mare. 
L'effetto è sorprendente, e Helen se lo sta davvero gustando quando...

Una videochiamata sulla linea criptata, Helen.

Phil?

Sì Helen.

D'accordo, passamelo.


Il panorama tropicale viene sostituito da quello che ha tutta l'aria di essere un rifugio, non dissimile da quello in cui si trova Helen, e da Phil a mezzobusto al centro dell'inquadratura.

Hey, Rose!

La voce calda, il sorriso morbido, e quel nome con cui non si sentiva chiamare da così tanto tempo, hanno il potere di farle incurvare un sorriso. Forse vagamente malinconico.

Ciao Phil. Spero che tu sia da solo, perché mi hai colta in un momento di relax...

E un altro sorriso, stavolta obliquo, glielo strappa vedere lo sguardo dell'uomo indugiare un po' troppo dove non dovrebbe.

Come sta Laura?


Gli occhi di Phil risalgono rapidamente a quelli scuri, e sul suo viso si compone un sorriso che ha tutta l'aria di un "touché".

Sta bene... - risponde portando la destra a grattarsi la nuca, forse vagamente imbarazzato - Bene. Anche i ragazzi - stavolta ha recuperato l'espressione tranquilla e sorridente di sempre.

A cosa devo...

Ho saputo che alla fine ti sei decisa. E non sai quanto sono felice.

Oh, lo so!

Sì, lo sai, è vero
- ridacchia - È che fino all'ultimo ho pensato che non lo avresti fatto.

E hai fatto bene a pensarlo - ora dice, il sorriso che pian piano è sfumato in un'espressione più seria - Ma alla fine credo di aver capito cosa intendessi. O almeno, l'ho capito a modo mio.

A modo tuo. Va benissimo. È così che ognuno deve muoversi. A modo suo. Purché si muova.

Sì, sì, lo so, Phil. Ti prego risparmiami tutto il discorso, okay?
- ma finisce per sorridere, e altrettanto fa l'uomo.

Ora però esci di lì, che devo farti vedere una cosa.

Vedere o farmi vedere?
- domanda, con la sua solita malizia tagliente.

Farti vedere... - risponde con tono di vago rimprovero, ma divertito, come sempre.

Okay, voltati.

Non che si aspetti che lo faccia. Infatti non se ne cura proprio, emergendo dall'acqua e risalendo i gradini, senza alcun pudore davanti a quegli occhi che, del resto, conoscono a memoria ogni dettaglio di quella pelle scura.
E Phil dal canto suo non accenna minimamente a voltarsi. 

Helen infila un accappatoio, dà un'asciugata sommaria ai capelli, poi prende uno dei tablet di comunicazione e si avvia verso il corridoio che attraversa tutto il rifugio. 
Jade passa immediatamente sul dispositivo la comunicazione, ed è tramite questo che continua la conversazione.

Ti ho chiamato perché non hai ancora visto tutto. E credo sia ora che tu veda anche il resto.

Di che stai parlando Phil?

Jade, falle vedere.


Sono ormai arrivati quasi alla fine del corridoio, di fronte alla porta della sala comandi, quando è il pannello della parete di fondo a scorrere sulla destra, rivelando un nuovo corridoio, a lei sconosciuto, che si illumina all'istante. Non riesce a capire quanto sia lungo, dal momento che si perde dopo una curva sulla destra.

E questo?

Vai.

Vado. Intanto dimmi.

Si tratta dell'uscita di emergenza. Che di fatto è anche un'entrata, ma è controllata esclusivamente dall'interno. Ossia da Jade in tua assenza.


Helen percorre il corridoio accigliata.

Sbuca in un magazzino al confine con l'area merci del porto. Non è un magazzino abbandonato, se è quello che pensi. È di proprietà di persone fidate, che me lo hanno ceduto tempo fa, in cambio di favori che non sto qui a spiegare.

Ha intanto raggiunto la porta scorrevole alla fine del corridoio, che Jade apre senza che neppure glielo chieda. E quello che trova al di là della porta le fa spalancare gli occhi e la fa rimanere senza fiato.

Ricordo che ti piacevano molto, tempo fa...

Al centro di una stanzetta di circa tre metri per tre, poggiata al suo cavalletto si trova una K. Bike nuova fiammante. O almeno così sembra. Helen le gira intorno.

Falle vedere, Jade.

Sì Philip.


Il display della moto si illumina, mostrando la mappa della città e il punto esatto dove si trovano ora.

Jade l'ha già configurata sui tuoi parametri. Puoi accendere il motore, spegnerlo, impostare itinerari o il pilota automatico, tutto quello che vuoi. L'IA originale è stata sostituita con una derivazione di Jade, sarai quindi sempre in contatto con lei e col rifugio. E sarà Jade a controllare i sistemi della moto. Su prova.

Metti in moto, Jade.


In un attimo il rombo del motore totalmente ecologico risuona nella piccola stanza, mentre le luci si accendono, come gli occhi Helen del resto. Scorre le dita sul sellino, sul serbatoio, sul manubrio che quasi si perde nella linea aerodinamica della parte anteriore.

Liberty Bell Center - pronuncia guardando la mappa, e immediatamente su questa viene tracciato il percorso più rapido, evidenziato in blu.

Gli occhi scuri riescono finalmente a staccarsi dallo schermo per tornare al pad, da cui Phil la guarda sorridendo.


Fantastica, Phil, davvero. Ma sei sicuro che...

Helen per favore. Sai che posso farlo. Sai che voglio farlo. Per me il discorso finisce qui, okay?

Okay...
- sa che è assolutamente inutile discutere, quando Phil prende quel tono.

Quella piattaforma che vedi sulla destra. Come vedi il pavimento è in cemento. Ed è una perfetta imitazione del pavimento del magazzino. Quando Jade dà il comando, la piattaforma sale, andando a sostituire quella che attualmente fa da pavimento lì sopra. La sostituzione avviene in modo rapido e silenzioso, impossibile accorgersene se non vedendolo succedere. Ci sono anche telecamere lì. Come ti ho detto è un accesso controllato solo dall'interno. È un ottimo modo per ricevere ospiti. O per uscire se per qualsiasi motivo devi farlo in fretta e senza essere vista.
Falle vedere, Jade.

Sì Philip.


Un lieve ronzio, appena percettibile, e il soffitto sopra la piattaforma si divide in due metà, che si appiattiscono sulle pareti e iniziano a scendere, mentre la piattaforma sale, prendendone il posto. Una volta arrivate in basso, le due metà si ricongiungono al centro, riprendendo l'aspetto e la consistenza di una piattaforma unica.

Helen non commenta nulla per diversi istanti.


Beh. Che devo dirti?

Grazie?

Ma sì, certo. Grazie!
- il sorriso si inclina ancora una volta, mentre lo guarda scuotendo la testa.

Spero di esserne all'altezza - mormora, in uno dei suoi pochi momenti di sincerità senza riserve e senza costruzioni, che Phil conosce bene. Ciò non toglie che gli facciano effetto. Ogni volta. E lo si vede dallo sguardo che le riserva ora.

Lo sarai, Helen. Come sempre.

Lei stira un sorriso, poi chiude la comunicazione, come l'altro sapeva che avrebbe fatto. Torna con lo sguardo alla moto, ne accarezza ancora una volta il profilo, poi sospira e si avvia per tornare all'interno, ad asciugarsi i capelli e prepararsi una rapida cena.


lunedì, giugno 18

Karma is a Circle...

E quindi è così che ci si sente. 
E no, il karma non c'entra un accidenti.
È questa vita che si diverte a togliermi sistematicamente ogni singola cosa che mi permetta di spegnere il cervello e di sentirmi veramente bene, almeno per un po'.
E ora vorrei solo prendere quelle stramaledette birre analcoliche e sbatterle contro il muro. E non lo faccio solo per non rovinare l'intonaco. Che si fotta pure quello.
E probabilmente so anche che ha ragione lui.
La testa continua a ripetermelo, mentre tutto il resto continua a urlare il contrario. Oltre a una serie di improperi che non sto qui a scrivere.
E questo perché ha avuto le palle per fare la scelta che stavo per fare io stessa, appena qualche giorno fa. O perché non ne ha avute abbastanza per provarci lo stesso, come alla fine avevo deciso di fare.
Resta il fatto che sento ancora il suo odore addosso. E questa è la terza doccia da ieri sera. Ma non credo che sarà sufficiente.
Che tu sia maledetto, Aaron Tate. Tu e il karma del cazzo. E questa legge che non mi permette di trovare un po' di alcol decente con cui sostituirti, almeno fin quando non si farà avanti il prossimo.



mercoledì, giugno 13

Unexpected gifts

Redazione del Doubter, ore 12. L'atmosfera è quella rilassata dell'ora che precede la pausa pranzo. Qualcuno l'ha anticipata, altri sono in procinto di staccare.
Helen è nell'area relax davanti a uno dei distributori automatici e sta chiacchierando con Rona, la bionda che si occupa di moda e spettacolo, quando Peter, della reception, la raggiunge con un pacco.


Helen, è arrivato questo per te.

Per me?
- domanda increspando la fronte, poi solleva le sopracciglia e piega un sorriso, prendendo il pacco che il ragazzo le porge - Ok, grazie.

Uh. Hai ordinato qualcosa? Che ti sei comprata? Fai vedere. La collega la guarda incuriosita mentre si appoggia sul tavolo comune per aprire il pacco.

No, non ho ordinato niente... 


Apre la scatola e quello che vi trova le fa inarcare le sopracciglia.

Wow! Hey devi raccontarmi qualcosa? Dove hai passato la notte Helen?

Sfila dal pacco una rosa rossa che le fa inclinare un mezzo sorriso. Poi un pacchetto più piccolo. Apre anche questo. Una collana, con un diamante al centro.
Rona resta senza fiato -
Ma... fa proprio sul serio! Dai, dimmi chi è, forza! - Ma Helen ora è accigliata. Qualcosa non quadra.

Infine trova il biglietto. Lo apre, lasciando che intanto la collega prenda a rimirare il gioiello, provandolo anche davanti al collo, specchiandosi nell'inserto cromato del distributore automatico, e mostrandolo a un paio di altre freelance arrivate lì per caso -
Helen ha un amante ricco, e non vuole dirmi niente!

Potrei quasi indispettirmi per aver disattivato il numero. A tempo debito ci vedremo di persona. Goditi il regalo.

Rimane in silenzio, la fronte contratta e gli occhi scuri, cupi, fermi sul biglietto, mentre i cinguettii e le risatine delle altre diventano un sottofondo ovattato.
Poi indossa un sorriso il più possibile convincente e toglie loro dalle mani la collana.


Scusate ragazze. Cose personali... - dice loro abbassando la voce, ammiccando. Infila tutto di nuovo nella scatola e si allontana, portandosela via. Insieme al carico di pensieri che di nuovo la fanno accigliare mentre lascia la redazione.




martedì, giugno 12

Failures

Quindi alla fine è stato tutto inutile.
Ho perso un amico, ho perso il sonno, ho perso giorni della mia vita.

No, quelli non li ho persi.

Il successo non è quando riesci ad aiutare qualcuno. Il successo è quando riesci a spingere te stessa a provarci. Nel momento in cui ci provi, hai già vinto. Il resto è un bonus.

Probabilmente ha ragione. Ho vinto. Eppure non mi sento come dovrebbe sentirsi un vincitore.
Mi sento come qualcuno che per tutta la vita ha perso l'occasione di fare qualcosa per qualcun altro che non fosse sé stessa. E questo anche a scapito di chi le voleva bene.

Quanto all'amico... No, probabilmente non ho perso nemmeno quello. È più corretto dire che quello non l'ho mai avuto. Solo me ne sono finalmente resa conto. C'è una concreta differenza tra volere una persona e voler bene a una persona. 
Forse non se ne è nemmeno reso conto, del male che mi ha fatto parlandomi in quel modo.
In compenso ho scoperto di averne altri, di amici. Uno dei quali mi incuriosisce, mentre l'altro mi spaventa.

L'amicizia da parte sua, quel tipo di amicizia, quella che è lì per te, e vuole esserci sempre, mi tenta come una fiamma tenta la falena. È calda, luminosa, ma insieme a tutto il resto rischia di diventare il fuoco su cui finirò per bruciarmi le ali. 
Ma forse sarà sufficiente avvicinarmi senza ali, e con il mio involucro ben stabile al suo posto.
Devo pur esserne capace, no?

Di lei che ne sarà? Io non lo so. Ha fatto la sua scelta. Fa male ma è la sua vita. E forse davvero era ormai troppo invischiata nella tela del ragno, per poterne uscire.
Spero non si faccia ancora male, e che non ne faccia ad altri, soprattutto. Le ho detto che sarò lì per impedirlo.
Mi chiedo se lo farò davvero.

 There’s something in your eyes and it’s giving your disguise away 
No I don’t want it to last if the glass is gonna break

sabato, giugno 9

Alone

Come ho fatto a crederci ancora? Credere in... non lo so. Amicizia? Affetto? Qualcosa, non lo so. E ancora una volta ho sbagliato. Ho pensato che bastasse questo e bastasse il fatto di avere un cuore. O almeno. Questo era quello che credevo.
Ma non basta. Perché chi ha sbagliato è morto. O deve morire, forse. E chi chiede favori sbaglia, perché è meglio chi non si fa sentire proprio.
E... No questo proprio non riesco a capirlo. Come può credere che quello che mi porta a voler aiutare Eileen sia il fatto che non è umana?! Questo davvero... Perché? Fino a questo punto non ha capito niente di me? Ma del resto, se stento a capirmi io come pretendo che possano farlo gli altri?

Ma non importa. È solo un altro dei miei stupidi errori. Devo solo rialzarmi e camminare. Come sempre.
Solo che non ho niente da offrirle ora. Niente. Solo il mio inutile aiuto.

E quelle macchine infernali. Sarebbe meglio che fossero solo camere a gas. Ucciderli. Questa sarebbe la soluzione. A quanto pare è questo che vuole, la "società civile". Oppure gli è sufficiente sentirsi migliori di loro nel notare come "appena usciti tornano a fare quello che facevano prima".
Mi chiedo come potrebbe essere diverso, quando usciti da lì non c'è nessuno, NESSUNO, disposto a dargli una possibilità. Una casa, uno straccio di lavoro. Un percorso per uscire dalla merda in cui hanno vissuto per tutta una breve lunghissima esistenza.

Io ci sono, però. E quindi sarà questo che le offrirò. Il MIO aiuto. Visto che non ho altro.
E se vorrà provarci, allora farò di tutto per aiutarla a provarci.

Mi hanno chiesto perché. E io non lo so perché.

Forse perché sono stata una stronza per tutta la vita. Forse perché non ho mai pensato a nessun altro che a me stessa. Forse perché è ora che questo finisca. E se c'è una persona che ha bisogno di aiuto, ora, quella persona è Eileen Blackwood.
Sarà lei a decidere. Lei e nessun altro.





lunedì, giugno 4

The match

Ciao Andre,

non so se riceverai mai questo messaggio, se il tuo numero sia ancora questo...


Lo so, non mi sono più fatta sentire, ma lo sai come sono. E tra l'altro penso sempre che chi lascia tutto ha i suoi buoni motivi, e magari deve essere lui a decidere se ha davvero voglia di risentire le persone che si è lasciato alle spalle.


Ma farò un'eccezione, giusto per dirti che la tua mancanza si sente. Io la sto sentendo.
Forse perché sei l'unica persona che conosco in grado di capire quando quello di cui avrei bisogno sarebbe un abbraccio invece che un fiume di parole. E perché quando eri qui non ero in grado di capirlo io, questo.


E non so se vorrei che fossi qui, o se vorrei solo essere quella di prima, che gli abbracci invece li rifuggiva. Che riusciva a chiudere tutto fuori e semplicemente non sentire niente.


A volte mi sembra di essere un campo da gioco dove i contendenti segnano i loro punti.


La Gifted Alliance fa la sua mossa, mi mostra una Philly completamente diversa, dove i mutanti vivono in modo pacifico anche senza il guinzaglio, dove chi ha le ali può solcare il cielo e chi è veloce come il vento può correre libero e dove i bambini giocano sollevandosi da terra... e segna il suo punto. Mi fa amare questa città. E mi fa amare me stessa, in tutte le mie... sfaccettature, è il caso di dirlo, come non avevo mai fatto prima. Un punto per la gifted.


Poi arriva il governo, con le sue leggi, mi sbatte in prigione con gli stessi vestiti sporchi e laceri con cui ho visto ammazzare tre persone sotto i colpi implacabili di una shell degli Hunter-X, due notti e due giorni ammanettata in cella, in attesa di "accertamenti", perché ho richiamato la mia corazza. E chissà, potrei averlo fatto a scopo offensivo, per ergermi "giudice e boia"... 

E mi ritrovo scaraventata indietro a quando tutto quello che desideravo era essere "normale", non avere dannati poteri a cacciarmi nei guai. A quando desideravo che Magnus se li fosse portati via tutti. E per sempre. Uno pari. Palla al centro.

Mi dispiace. Purtroppo è così che funziono. Tutto quello che ho sempre desiderato non è niente altro che vivere serenamente la mia vita. E sembra che sia nata con i geni sbagliati, per questo.


Ok. Ti ho scritto. Ma forse è meglio che le cose restino così. Ti auguro la vita che volevi, andando via di qui. E senza voltarti indietro.


Seleziona il testo e invece di inviarlo lo copia semplicemente nelle pagine del diario.

 

domenica, giugno 3

Broken

Miss Jenkins, lei mi sembra una cittadina rispettosa della legge, una persona che fa valere le sue ragioni nel modo corretto e che non travalica l'autorità perché se ne ritiene migliore

Queste parole continuano a rimbalzarmi nel cervello, non riesco a non sentirle risuonare ancora e ancora.


Ebbene no. Non è così.


Me ne ritengo migliore. Infinitamente migliore.
Ma migliore non significa più forte. E se travalicassi l'autorità sarei solo una goccia nell'assurdo mare che rinuncia a tutto, continuando incessantemente a cercare di cambiare qualcosa di più grande di lui, più grande di loro, di noi. Di tutti noi.
Siamo prigionieri di uno stato di cose che mi appare impossibile da scardinare. Di un'ingiustizia che mi brucia sotto la pelle costantemente, sempre di più, ma che sento di non poter combattere.
Mi accontento quindi delle briciole che questo schifo di società mi permette di raccogliere. Di vivere la mia vita in modo "sereno", con la mia casa, il mio lavoro, i miei amici. Incassando di tanto in tanto un calcio nei denti, per poi rialzarmi e chiedere scusa per il disturbo.

Sono troppo debole. Lo siamo tutti. Ecco perché non travalico l'autorità.

E ora non lo so come mi sento. Stanca. Troppo stanca.
Vorrei solo chiudermi nel mio bozzolo e rimanere lì, immobile, fino a quando non saranno guarite tutte le mie ferite.


Perché è questo che fanno. Ti instillano quella sottile paura di essere te stesso. "Puoi usare il tuo potere, ma solo per legittima difesa" ossia? In caso di pericolo, non è questo la legittima difesa? E c'è qualcosa di più pericoloso di una shell con una croce bianca inscritta in un cerchio? Di un uomo armato di coltello che ne aggredisce un altro? Ma no, la situazione è "borderline" e "dobbiamo trattenerla".
E cosa farò io, la prossima volta? Mi arrischierò ancora a ricorrere al mio potere, alla mia difesa, sapendo che poi potrei trascorrere anche solo una notte in quello schifo di PRIGIONE?

No. Probabilmente non lo farò. Forse rischierò anche di farmi ammazzare.
E forse sarà anche meglio. Almeno non dovrò più decidere chi e cosa essere.