mercoledì, maggio 23

Maybe...

Cammina lentamente, osservando ogni cosa di nuovo, come se fosse la prima volta. Il silenzio è irreale. Appena un soffio lo scorrere della porta di metallo che scompare nella parete dopo l'autenticazione. Le luci si accendono mentre varca la soglia.

Buonasera Helen!

Buonasera Jade...

Lentamente, quasi timorosa di sentire il rumore dei suoi stessi passi risuonare in quel luogo ora deserto.

Che ore sono Jade?

Ventitré e quarantasette minuti Helen.

Attraversa la stanza, scorre le dita sul mobilio dalla linea avveniristica. Gli occhi spaziano fin oltre il vetro temperato, lungo il corridoio che percorre l'esterno della sala, verso le altre porte ora chiuse. Raggiunge la cucina, osserva ogni superficie. Apre il frigo, attualmente vuoto ma funzionante.

Jade, Phil è stato qui altre volte?

Ventidue volte - risponde la voce sintetica.

Quando l'ultima?

Quattordici maggio duemilaventisette, ore zero e dodici minuti.

E la prima?

Undici luglio duemilaventitré, ore dieci e venticinque minuti.

Questo era il suo rifugio a Philadelphia, Jade?

Sì, Helen.

Jade tu ricevi aggiornamenti?

Sì, ogni tre mesi, se non ci sono modifiche urgenti.

Da dove?

Dal server 1, Washington DC.

Il server 1 è nel rifugio di Phil?

Sì Helen.

Laura sa di Phil? Della sua identità segreta?

Non ho abbastanza informazioni.

Laura Archer sa dell'identità segreta di Phil?

Non ho abbastanza informazioni, Helen.

Laura è mai stata al rifugio di Phil a Washington?

Non ho permessi sufficienti per accedere a queste informazioni.


Un breve sospiro. Lascia la stanza e imbocca il corridoio, continuando a camminare lentamente e osservando ogni cosa, le dita che sfiorano le pareti candide, le giunture metalliche. Raggiunge infine la porta in fondo al corridoio, posizionandosi per la scansione della retina. Un clic le comunica lo sblocco della porta.

Apri la porta Jade.

Il soffio della porta che si apre, poi le luci azzurrine della sala comandi. Raggiunge la teca in fondo alla stanza senza soffermarsi su altro, prende la maschera, la rigira tra le dita, la indossa, guardandosi poi nel debole riflesso sul vetro della teca.
Resta così per qualche istante, poi la toglie riponendola al suo posto.


Jade, preparami un bagno caldo, per favore.


Storce le labbra, nello scoprirsi a chiedere "per favore" a una IA, poi sbuffa un sospiro, fermandosi a osservare la maschera ancora per un istante. Infine si volta e attraversa la stanza, diretta alla sala relax, dove si sente scorrere l'acqua che sta riempiendo la vasca. Ormai ha deciso, dormirà qui questa notte.




lunedì, maggio 21

Lonely Nights

E poi capitano le sere come questa. In cui prendi il telefono in mano e lo guardi senza sapere che farne. Guardi un numero, vorresti comporlo, poi lo togli di mezzo, e inizi a scorrere la rubrica, ma ti rendi conto che no, non c'è un singolo numero che tu possa chiamare, tra tutti quelli memorizzati lì dentro. Nemmeno un singolo dannatissimo numero.

giovedì, maggio 17

Philly and me

Non so perché l’ho fatto. Ne avevo bisogno. Avevo bisogno di specchiarmi nei suoi occhi. Vedermi riflessa nel suo sguardo, quando mi avesse vista veramente nuda.
Perché è questo che è stato.
Nuda. Ossia priva di ogni protezione o copertura, priva della maschera che indosso costantemente, perfino con me stessa, ormai da troppo tempo.

Solo Phil mi aveva vista così, prima di lui.

Ma non potevo basarmi su Phil per capire davvero, per vedermi davvero. Phil ha ancora un filtro che lo acceca, quando mi guarda. E io lo vedo nei suoi occhi. Non sarà mai obiettivo nei miei confronti.

Con Tate è diverso. Lui è attratto da me, gioca con me. Ma non è amore. 
Fa quasi male vederlo così, scritto su una pagina. Eppure è quello che ho cercato, che ho voluto fin dall’inizio, e che voglio ancora. Quello che ci tiene insieme, forse più dell’attrazione che ci avvicina l’uno all’altro, la quieta certezza che no, non chiederemo altro. Eviteremo di farci del male.

Phil l’ho amato, l’ho amato davvero. E poi l’ho distrutto. Spezzato. Gli ho negato da un giorno all’altro non solo il mio amore, ma l’accettazione di quello che era. E questo è quello che mi fa più male, ora. Ora che inizio a vedere tutto con occhi nuovi.
E Hilde, ho fatto male anche a lei. Forse a lei più che a chiunque altro. Quando aveva bisogno di me, quando era solo una bambina ed è rimasta sola, o quando il ragazzo che amava, e che l’amava fino al giorno prima, aveva preso a chiamarla strega e puttana davanti a tutta la scuola… Io non ero con lei. Ero con quelli che le voltavano le spalle, la guardavano con disprezzo o le ridevano dietro.

Siamo spigolosi, taglienti, difficili. Ha ragione lui.

E proprio per questo era in lui che dovevo specchiarmi. E non credevo che avrebbe reagito così. Il suo sguardo, il tono della sua voce… Quando le sue labbra hanno sfiorato i cristalli… Ora so che voglio essere quello che sono e niente altro. E forse riuscirò anche a rimediare a qualcuno dei miei errori. Forse non è troppo tardi.

E questa città… questa dannata città, che ho odiato dal primo momento, da ancora prima di metterci piede. 
Beh, ieri era bella come una regina, col diadema delle sue luci e delle stelle. E forse ho capito che dopotutto non siamo così diverse. Spigolosa, tagliente, esattamente come me. Sembra fregarsene di tutto, ma forse…

So che le devo un Grazie. 





lunedì, maggio 14

Past and Future

Sono seduti al tavolo di un elegante ristorante del centro. Un uomo e una donna, sorridono, parlano, sembrano legati da una solida confidenza e ricordi comuni. Pasteggiano a ostriche e acqua minerale...


E ti ricordi quando tornavamo da quel concerto alla Oracle Arena e la macchina si è fermata nel bel mezzo della Nimitz? E dovevi anche andare in bagno...


Ridono entrambi.


Sì... - è lei a rispondere, senza smettere di ridere - E io volevo tornare in autostop, mentre tu ti rifiutavi di lasciare lì la macchina. E alla fine hai dovuto seguirmi per forza, perché ho alzato il pollice e già si stava fermando un camion...

Già. Eri tutta matta.

No. Dovevo solo andare in bagno. Da morire.
- afferma, per poi tornare a ridere di gusto, scuotendo la testa.


Gli occhi accesi studiano i lineamenti di quell'uomo ben vestito, che la guarda come ha sempre fatto.
Come ha sempre fatto. Lo nota solo ora. E questo fa sfumare un po' il sorriso, mentre abbassa gli occhi e si rifugia nel bicchiere.

Non gli è sfuggito, la conosce troppo bene. La osserva, poi -
Helen. Scusami se ti ho cercata.
Forse non avrei dovuto. Ma per me era troppo importante.
Ho... qualcosa per te.


Lei increspa la fronte guardandolo.


No. Non ce l'ho qui con me. Ti ci porto appena abbiamo finito - le assicura col suo solito sorriso. Il resto della cena scorre via serenamente, anche se con qualche momento di silenzio di troppo.

È con la sua macchina sportiva che al termine della cena lasciano il ristorante per raggiungere il Porto. Parcheggia nei pressi della zona turistica e da lì si avviano a piedi, tra i piccoli negozi ed i locali.  Le prende la mano, e inizia a condurla per i vicoli, lasciandosi alle spalle le luci e il viavai, fino a una palazzina anonima. Lei lo guarda corrucciata, non capisce, ma lui si porta l'indice alle labbra, chiedendole di fare silenzio. Estrae una chiave, apre una porta, e sono all'interno. Un vestibolo semplice, male illuminato, scale che salgono al primo piano, scale che scendono alla cantina, una fila di cassette della posta un po' malandate.



Phil ma... - prende a domandare piano, ma lui ancora una volta le fa segno di tacere. La sua mano si posa in un punto del muro, e un pannello scorrevole scompare nella parete, creando un varco.


Dopo di te.


Lo guarda sconcertata, ma lo attraversa. Si fida di lui ciecamente. Da sempre.
Sono entrambi dall'altra parte, quando il pannello si chiude e luci al neon si accendono su una scala che conduce al sottosuolo. Percorrono insieme la scala, una struttura in metallo e led decisamente diversa dal contesto esterno, fino a una porta blindata in metallo, priva di maniglie o serrature, affiancata da un dispositivo per la scansione della retina. Phil si fa avanti, il dispositivo lo riconosce, la porta si apre.



Salve Philip - una voce risuona nel silenzio, facendo trasalire Helen, ma ci mette meno di un attimo, mentre le luci si accendono, a capire che si tratta di una IA.


Salve Jade. Questa è Helen. Helen Jenkins.

Salve Helen
- la stessa voce femminile e chiaramente sintetica.

L'interno è spazioso, fin troppo. Un tavolo rotondo, circondato da sei sedie, un angolo cottura del tutto accessoriato. Da questo ambiente si accede a un corridoio a vista, separato dalla sala centrale per mezzo di una paratia bassa e una parete in vetro temperato antiproiettile, che circonda interamente la sala. Helen segue l'uomo stordita.



Mi spieghi dove siamo, Phil?


A lato del corridoio si aprono diverse porte scorrevoli. Un magazzino/dispensa completamente rifornito, una piccola camera accessoriata di due cuccette, armadio, scrivania, bagno, altra camera simile, un'infermeria, altro bagno, una sala relax con attrezzi da palestra e vasca idromassaggio. Infine un'ultima stanza, anche questa protetta dallo scan retinico. Philip si ferma, fronteggiandola.

Helen... Io... Volevo dirti che ho saputo.

Cosa hai saputo?

La tua... registrazione.



Increspa la fronte un istante, poi capisce, ma con grande sorpresa dell'uomo incurva un sorriso.


Sei uno stalker.


Lui ride, forse più di sollievo che altro, le cinge i fianchi e l'attira a sé. Lei non riesce a evitarlo, non mentre guarda nei suoi occhi. E neppure riesce a evitare quel bacio, o forse non vuole. Forse è Phil il primo a tirarsi indietro, forse lei, o forse lo fanno entrambi, contemporaneamente. E probabilmente per lo stesso motivo, evidente negli occhi dell'uno con una sfumatura colpevole, negli occhi dell'altra come un'ombra di dispiacere, la consueta vaga chiusura.

Perché mi hai portata qui, Phil?

Lui non risponde subito. Lascia che il dispositivo gli scansioni la retina, si sente lo sblocco della porta metallica, ma questa non si apre.

Apri la porta, Jade.


La porta scorre lasciandoli entrare, e nel varcare la soglia le luci al neon si accendono. Una luce prevalentemente bluastra, per non affaticare gli occhi. La stanza non è molto grande. C'è una scrivania ampia e una console.



Questa dà accesso manuale al sistema Jade e a tutti i controlli del rifugio - le spiega, sfiora poi alcuni comandi manuali, facendo apparire diversi schermi - E quelli sono i monitor delle videocamere poste all'esterno, nel corridoio e vicino alle tre uscite. Mentre su quello schermo grande Jade può trasmettere dalle varie videocamere open che si trovano in giro per la città. - Ma l'attenzione di Helen è completamente concentrata su una tuta nera appesa in una teca illuminata, in fondo alla stanza. Interroga l'altro con lo sguardo, e lui la invita ad avvicinarsi.


Te l'ho detto. Ho saputo della tua registrazione. Tu lo sai qual'è il mio pensiero, lo hai sempre saputo - lo ascolta in silenzio, la mente alle interminabili discussioni sul come e il perché secondo lui i mutanti erano un bene per l'umanità e su come fosse convinto che ognuno di loro avrebbe dovuto impegnarsi per la difesa delle città e di come lui lo avrebbe fatto, se avesse avuto un qualsiasi potere. Il fatto che lo facesse già, e che fosse un mutante, lo aveva saputo solo diverso tempo dopo, quando aveva deciso di dirglielo, subito prima di chiederle di sposarlo... 

Solo la sua voce interrompe il flusso dei suoi pensieri.


Helen? Mi stai ascoltando?

Come? Sì. Sì certo ti ascolto.

Quindi? Hai capito? Perfettamente integrata. È in grado di percepire la variazione cellulare e adeguarsi, prendendo le caratteristiche della tua pelle e di fatto divenendone parte.



Lei lo guarda sconcertata.


Indispensabile, perché il tuo potere di rifrazione, e anche la superficie abrasiva di cui puoi disporre sarebbero notevolmente ridotte da qualsiasi altro tipo di abbigliamento. Inoltre...

Potere di rifrazione? Ma di che accidenti stai parlando?


Non capisce, non riesce a stargli dietro, è tutto troppo veloce.

Helen... Ma davvero non hai idea di quello che puoi fare? - la guarda stupito - Non ti sei documentata nemmeno un poco?

Lei scuote appena la testa, tornando a guardare la tuta, e la maschera appesa lì accanto.


Indossale Helen - la invita - Ti prego.


Lei ancora non si muove, continua a fissarlo.


Helen. So che hai il chip disattivato, per il virus.

Perfetto, sai anche questo...
- inizia a spazientirsi, ma si limita a storcere le labbra, scuotendo la testa.


Indossale. Almeno una volta. Ora. Devo farti vedere come funziona, e quello che puoi fare davvero.


Lei lascia andare un sospiro e si arrende. Raramente è riuscita a negargli qualcosa. Forse solo l'unica che lui volesse davvero: diventare sua moglie.
Prende la tuta e gli stivaletti annessi e va a cambiarsi, rientrando poco dopo.



Helen... sei...


Lei storce le labbra, dietro la maschera di tessuto e cristalli che le ricopre interamente il volto.


Mi sento ridicola.

Ridicola? Sei uno spettacolo. Ma aspetta di vederla in funzione...



Un sospiro rassegnato - Che devo fare?

Attiva la mutazione.

Adesso? Qui?

No, se vuoi andiamo in JFK Plaza. O in Boathouse Row, dove preferisci?



Riesce a farla sorridere, anche in queste circostanze, ma lui non può saperlo. Guarda ai suoi occhi, china il viso. Non lo ha mai fatto davanti a qualcun altro, e non è affatto facile per lei, ma alla fine evita di guardarlo e come sempre si concentra solo sulla sua mano destra. Rapidamente la pelle cambia di spessore e consistenza, trasformandosi nella corazza inscalfibile che ormai inizia ad accettare come parte di sé. Appena inizia la mutazione, la tuta ha una mutazione analoga e cambia struttura cellulare, andandosi a fondere in tutto e per tutto con l'altra superficie adamantina.
Lo sguardo di Phil è affascinato e fiero.



Eccezionale...  Aspetta! - si affretta poi a dirle - Ora. Cerca di concentrarti. I diamanti che ti ricoprono puoi controllarli. Puoi renderli più spessi, più taglienti, ma anche più rifrangenti, molto più rifrangenti. Ma non durerà molto, quindi controlla i tempi - intanto estrae dalla tasca un paio di occhiali da eclissi, che va a infilarsi, facendole scuotere la testa - Forza. Provaci.


Helen in un primo momento rimane interdetta, poi sospira e cerca di concentrare l'attenzione sulla superficie della propria pelle, fusa con la tuta che la ricopre. Inizia a sentirla, ad avvertirne le caratteristiche, sente crescere una strana euforia, la sensazione di poter assorbire la luce e rigettarla indietro, ed è un istante: un lampo di luce accecante si riflette dal suo corpo, illuminando per un attimo a giorno tutta la sala.


Grandioso! Ci sei riuscita al primo colpo Helen!



L'entusiasmo di Phil è pari forse soltanto alla confusione della ragazza. Si guarda le mani, le braccia, il corpo. Non riesce a credere a quello che ha appena fatto.


Phil io... - ma non dice altro, solo lascia la stanza, tornando poco dopo con la tuta ripiegata sul braccio. Gliela restituisce.


Lui la guarda in viso.



Helen... Tutto questo... So come sembra, ma ti prego. Io voglio solo che tu prenda in considerazione questa cosa. E voglio che tu abbia qualcosa di mio. Qualcosa che un giorno potrebbe fare la differenza. Non deve essere domani. Né tra una settimana. Potrebbe essere mai. Anche se spero che non deciderai di gettare via la possibilità di fare la tua parte.
Forse tu credi che il tuo potere sia utile solo per proteggere te, ma non è così. Potresti proteggere molte persone. Potresti fare la differenza Helen. Fare qualcosa per rendere migliore questa città. Ti chiedo solo di pensarci. Ti prego.



Non può negarglielo. Annuisce, ma quasi non riesce più a guardarlo in viso, almeno fino a quando non lo fa per dirgli - Okay. Ora andiamo, per favore.


Non era la risposta che Phil sperava, ma acconsente, riuscendo solo a convincerla, prima di andare, a farsi scansionare la retina per aggiungere i suoi dati biometrici ai controlli.

Potrai cancellare i miei quando e se deciderai che tutto questo sia tuo.


Aziona il comando e la porta si apre.


Arrivederci Phil, arrivederci Helen - le luci si spengono alle loro spalle.


Arrivederci Jade.

Ciao Jade.



Ed è ancora con questo tumulto nella testa che, dopo aver salutato Phil sotto casa sua, Helen si trova tra le mani l'ennesima lettera anonima, un numero di cellulare, e una lunga nottata insonne da superare.







sabato, maggio 12

Digging deep

È un po' che guardo questo cursore lampeggiante. Mi chiede di scrivere, e io voglio scrivere. Ma è più difficile di quanto pensassi.
Troppo difficile.
Le cose che vorrei scrivere sono in profondità, molto in profondità, e tirarle fuori fa male.
Eppure è quello che voglio fare. Tirarle fuori, sporcarmi le mani, guardarle in faccia una volta per tutte.

Sentire la voce di Phil ieri è stato come ritrovarmi catapultata indietro di sei anni. Ritrovarmi innamorata di un uomo stupendo, il cui unico errore è stato amarmi, e dirmi tutta la verità, in un momento in cui non ero pronta ad accettare le mie, di verità, figuriamoci quelle degli altri.

E poi girare per la città, in questi due giorni, con l'attenzione al massimo, e invece di documentare moti, disordini e violenze, come mi aspettavo, cogliere gli istanti. Un oggetto sospeso a mezz'aria, una fiammella tra le mani vuote di un ragazzo, una corsa folle nella notte, per prendere un autobus in partenza, gli occhi sorridenti di chi si sente libero, due splendidi angeli che solcano il cielo. Veloci, troppo veloci, perché ora sono liberi di farlo, ma non autorizzati. Non ancora.

Lo saranno mai? Non lo so.

Ho passato la vita intera a temerli, e a disprezzarli. A disprezzare tutto quello che rendeva gli uomini "diversi". A detestare mia sorella per quello che era, prima, e per quello che aveva deciso di essere poi. A disprezzare me stessa. A provare ribrezzo per quello che mi teneva al margine, separata da ciò che era "normale" e che volevo essere.
Solo ora inizio a capire. Solo ora riesco a guardarmi in faccia senza vergogna, a sentire questa "cosa" come parte di me davvero. Inizio a sentirmi... completa.

Ed è una cosa che ancora mi spaventa. Perché se prima mi sentivo parte della parte più visibile del mondo, quella che detiene il potere e che impone le regole, non fosse per una "malformazione" gestibile, ora inizio invece a sentirmi parte della minoranza, quella difficile, che vorrebbe vivere senza dover nascondere o limitare nulla di ciò che è per nascita. E mi sento più vicina, troppo vicina, a chi si sta impegnando per un cambiamento.

E non so che fare. Sempre che si possa fare qualcosa...

Aaron dice di crederci. Dice che tutto questo avrà fine un giorno, che bisogna combattere "dall'interno", adeguandosi alle leggi attuali.

Io non lo so. Non so cosa sia giusto. So che se non avessi visto, se non avessi provato... Avrei continuato a vivere nella convinzione che tutto questo fosse pericoloso e sbagliato. Mentre ora...

Se sia possibile davvero un cambiamento io non lo so. Non riesco a crederci. L'Orbo parla di un sogno. E io non so sognare, ancora.  Solo... Solo che inizio a desiderarlo davvero.




Phone call #3

Helen ciao. Come stai?

... Phil?

Sì. Phil.

Ciao...
- si avverte il sorriso, ma anche l'evidente stupore, di risentirlo dopo tanti anni.

Come stai?

La sua voce è quella di sempre, l'effetto di una coperta calda posata sulle spalle in una gelida notte invernale. La fa sorridere.

Sto... bene immagino.

Si sente l'uomo ridere sommessamente, dall'altra parte.

Immagini. Credo sia un buon punto di partenza.

Lei resta in silenzio, le labbra incurvate e gli occhi persi su ricordi lontani, che credeva di aver accantonato ormai definitivamente da tempo.
Il silenzio si protrae, rotto alla fine di nuovo dall'uomo.


Ho fatto male a chiamarti?

Esita un istante - No. No no... Solo... Come hai avuto questo numero?

Stavolta il silenzio si prolunga un po' eccessivamente dall'altra parte.

Beh... Ho chiesto un po' in giro. Volevo sapere che fine avessi fatto.
- altro silenzio - So che ora sei a Philadelphia.

Sì infatti, da qualche mese. Tu? Sempre a Frisco?

Un breve sbuffo divertito accarezza il microfono, dall'altra parte.

No. Ci siamo trasferiti a Washington da qualche anno.

Oh. "Ci siamo". Quindi tu e Laura...

Sì. Siamo ancora insieme. Ed è arrivata una terza Desmond, Jasmine.


Helen sorride, o meglio le sue labbra sorridono, gli occhi restano appesi in un punto imprecisato, spenti.

Quindi? - domanda infine con rinnovata verve - A che devo... - non continua con le frasi di rito.

Sono... qui a Philadelphia, per qualche giorno. Mi hanno mandato qui a sistemare alcuni casini...

Stai parlando del virus? C'entra qualcosa un procuratore federale in tutto questo? Perché è ancora quello il tuo lavoro, giusto?

Sì, sì, ancora quello. E... non sono cose di cui posso parlare troppo, lo sai. Comunque, resterò qualche giorno, e mi farebbe piacere incontrarti. Pensi si possa fare?


Si morde il labbro con vaga apprensione, lo sguardo ancora vuoto, prolungando l'attesa di un istante, poi gli risponde.

Okay. Ma certo, va bene. Fammi sapere quando. Mi fa piacere rivederti.


Il tono dell'uomo sembra estremamente sollevato, e sorridente.

Bene allora. Appena ho un momento libero ti chiamo. Tieniti una sera libera okay?

Okay. Ci sentiamo!

Ci sentiamo.


Resta a rimuginare per un bel po', con lo sguardo cupo e la testa piena di fastidiosi ricordi. Infine riesce ad accantonare il tutto e ad avviarsi per iniziare la giornata.


 

giovedì, maggio 10

A virus named Freedom

È finalmente riuscita a scegliere qualcosa da indossare il giorno dopo, quando siede alla scrivania per dare un'occhiata alle notizie di agenzia e a un paio di social prima di andare a dormire.
E la notizia è lì che rimbalza un po' ovunque.


Il Virus prevede un effetto collaterale senza precedenti per i superumani di alcune zone delle maggiori città d'America, un effetto che molti di loro non provavano da molti anni.
Almeno metà dei superumani di quelle zone potranno essere liberi di essere loro stessi senza avere paura di essere segnalati da un Chip o da qualcuno che decide per loro quando, dove e come devono utilizzare la loro libertà. I loro chip non funzioneranno più.

Gli occhi restano sgranati a lungo sullo schermo. Afferra a tentoni il cellulare dalla scrivania e digita un messaggio. A giro le arriva una risposta che la fa deglutire.

Non sa se fidarsi. Non sa se ci può essere qualche errore, o se il virus può essere debellato a breve, tuttavia...

Distende la mano destra e, lentamente la vede cambiare colore, consistenza. Una sensazione che le fa chiudere gli occhi. Reclina e torce indietro il collo, con l'impressione, che da giorni ogni tanto la assale, di sentire i naniti strisciare come vermi dentro di lei. Intanto la mutazione procede, inspessendosi e rivestendola completamente. Torna alla stanza, e si guarda allo specchio. Quel viso, il suo viso. Non la infastidisce più guardarlo. Di nuovo guarda la mano destra, distende le dita, chiude il pugno, lo stringe più forte e sente qualcosa montare dentro. Una sorta di rabbia sorda e indomabile che le scivola sottopelle, quasi tangibile, lungo il braccio, fino al pugno chiuso. E nell'osservare quel pugno le nocche si deformano sotto il suo sguardo. Un'escrescenza si va formando a dare forma alla sua rabbia, i cristalli si affastellano rapidamente uno sull'altro a formare quella che ha tutto l'aspetto di una lama. La rabbia non si è sopita, affatto, si è solo materializzata in quell'escrescenza solida e affilata che completa il suo pugno destro. Pugno che ora sferra contro lo schienale di una poltroncina, trapassandola da parte a parte. Rimane ansante, gli occhi rilucenti quanto i diamanti neri che la ricoprono completamente. Deglutisce e respira a fondo, lasciando che quella lama si ritiri lentamente, mentre la pelle pian piano riprende la consistenza di sempre.
Resta immobile, stordita, per qualche istante. Serra le labbra, poi rapida torna nell'altra stanza a verificare. Nessun messaggio, né sul cellulare, né altrove. Forse dopotutto nessuno verrà a cercarla per uso improprio dei poteri, questa notte.

Di dormire non se ne parla. Stasera si lavora! Si cambia, prende la borsa ed esce, intenzionata a documentare dovunque sia possibile il risultato di quella "bomba" informatica caduta su Philadelphia.


mercoledì, maggio 9

Breakfast date

Tabby! Togli le unghie da quella sciarpa. Ora!

L'armadio è spalancato, e una buona metà del suo contenuto è sparpagliata sul letto, con il soriano che deve averlo preso per il suo parco giochi personale. Alterna davanti allo specchio un top corto a uno scollato, poi pantaloni, gonna, shorts, gonna corta, media, sandali, scarpe chiuse.

E se piove? - sbuffa.

Di nuovo shorts, minigonna, shorts.

Nah, questi non posso. Se poi devo passare al giornale?

Finiscono sul letto come tutto il resto.

Se almeno avessi idea di dove vuole andare...


Un'occhiata al telefono, palesemente accarezzando l'idea di usarlo. Poi storce le labbra e si costringe a ignorarlo per concentrarsi su...


TABBY!!!


lunedì, maggio 7

Phone call #2

Primo pomeriggio. Complice il cielo nuvolo che sovrasta Philadelphia, non è molta la luce che filtra dalla finestra a oblò che si trova in alto alle spalle del letto, sulla destra. Helen è ancora tra le lenzuola, a ripercorrere la serata precedente, occhi al soffitto e un mezzo sorriso che aleggia sulle labbra chiuse. Il sorriso infine sfuma, mentre le labbra restano contratte in un'espressione vagamente assorta. Infine prende il cellulare dal comodino e fa partire la chiamata.

In sottofondo si sente nitidamente il rumore della strada. Un vociare sommesso e qualche motore che passa e che va. La voce arriva forte e chiara. C'è una nota allegra a colorarne l'intonazione.


A: Ciao Helen! Come stai?

La sua voce invece è morbida e carezzevole, sommessa, una voce che lui ha imparato a conoscere, quella dei loro momenti più intimi. Con un po' di attenzione non è difficile capire che si è appena svegliata.

H: Hey... Buongiorno.

A: Buongiorno - cambia quasi subito registro, adeguandosi a quello di lei.

H: Dormito bene stamattina?

Una mezza risata viene sfiatata a quella domanda.

A: Perché, abbiamo dormito? - scherza, è evidente - Riposato un po', prima del lavoro. Ma poca cosa. Stavo ripassando mentalmente la bella serata. Tu? Dormito bene?

Un lieve sbuffo sfiora il microfono in risposta al suo scherzare. Dall'altra parte si sente ridere sommessamente allo sbuffo di lei, ma è evidente il tentativo di contenersi.

H: Sì, direi di sì... Mi sono appena svegliata

Ancora una volta si intuisce il sorriso, dietro quel parlare languido da primo risveglio.

A: E allora ben svegliata...

H: A proposito di ieri sera.... È stato tutto... perfetto...

Non lo dice, ma un "ma" è ben intuibile nel modo in cui la frase resta sospesa.

Il tono di voce di lui si apre e si fa disteso, sorride anche lui ora.

A: E' stata una gran serata, anche se non sembri convintissima, quindi... 
La vista era deludente, mh?

Palese come la incalzi, senza abbandonare il tono di scherno e gioco tenuto fin lì.

H: Mozzafiato. Come tutto il resto.
Solo... - una pausa prolungata, ma forse non abbastanza da lasciarlo intervenire a colmarla - ...Tu lo sai che non hai bisogno di tutto questo, con me, per andare al dunque, vero? Sorprese costose, idee romantiche... Certo un po' di atmosfera... ma insomma. Credo sia meglio lasciare il cuore fuori da queste cose.

Non parla in modo brusco, il tono è sempre quello di poco prima, e fa intuire come probabilmente non si sia ancora nemmeno alzata dal letto. 

Dall'altra un lungo momento di silenzio e poi una risata, meno contenuta delle altre.

A: Scusa.. Non.. Non sono abituato a tanta schiettezza - si schiarisce la voce e riprende - So benissimo che non ce n'è bisogno. Ma fa tutto parte del mio gioco. Dell'essere così, del dover per forza strafare.

Per me non c'è nessun problema a lasciare il cuore fuori da questa cosa. Lo faccio sempre, non ce lo metto mai.

Quando ci va, quel che ci va. E a me sta bene così.

La voce è calma, distesa.

H: Mh. Si vede che il tuo è più disciplinato. Anche il mio di solito sta al suo posto e non si intromette, ma quando mi accorgo che salta un battito inizio a preoccuparmi...

Quindi promettimi di non farlo. Lasciamolo in pace a fare il suo lavoro. E noi occupiamoci di altro... - Il sorriso malizioso è intuibile nel modo in cui conclude la frase - Anche perché sei una delle poche persone, a parte mia madre e mia sorella, ad avermi vista riccia. E dunque probabilmente ora dovrò ucciderti.

Lui ascolta quieto, il respiro regolare, e da come risponde è intuibile il mezzo sorriso che gli accentua la fossetta sulla guancia.

A: Se senti mancare un colpo, me lo dici e vedrò di tornare l'irreprensibile testa di cazzo che sono di solito, mh?
E stai bene riccia, hai un che di selvaggio che mi piace.

Se ti dico che sono stato bene e che quando vuoi puoi presentarti da me senza preavviso, la prendi male?

Perchè sul serio, non c'è problema a passare del tempo assieme. A farci compagnia. Fin quando ci andrà di farlo.

Una breve pausa di silenzio.

H: ...Ecco... senza preavviso... No. Senza preavviso no, penso che non sia il caso. - Altra pausa, più prolungata - Minimo. Un preavviso minimo direi che può andare.
Anche perché non voglio rischiare di non trovarti e fare il viaggio a vuoto.

Lui ride sommessamente.

A: Helen, se so che stai arrivando, mi faccio trovare a casa sicuramente. A meno che io non abbia altri impegni.
Ma stai pur certa che non mi lascerei trattenere troppo a lungo. E Harold sa già che sei persona gradita a casa mia. Ti farebbe salire, fintanto che io non arrivo.

Ancora una risata silenziosa della donna accarezza il microfono, alla sua promessa.

H: Okay. - Segue un silenzio sospeso, un po' troppo prolungato, poi stiracchiandosi, con la voce in principio alterata di conseguenza - Dai, sarà meglio che mi faccia una doccia e inizi la giornata...
Ci sentiamo Tate. A presto.

Silenzio e poi un fruscio, come se la guancia sfiorasse il dispositivo.

A: Ecco, per la doccia, prossima volta, passa da me.
Sono certo di riuscire ad aiutarti con i punti più ostici. - una risata - Buona giornata miss Jenkins. A presto.

H: Hahahaha - stavolta la risata è piena e ben udibile - Non dubito Tate. E ne riparleremo. Per ora forse ti conviene fartene una da solo. E bella fredda.

Ciao.

Una risata accompagna l'ultimo saluto di lei, un  - Ciao - prima del click di chiusura della chiamata.

Resta ancora qualche attimo con gli occhi sul telefono senza davvero guardarlo, un mezzo sorriso sulle labbra, che poi storce di nuovo rimuginando qualcosa. Alla fine sbuffa un sospiro e si alza, lasciando rimbalzare il cellulare sul materasso, e lascia la stanza.




So much more than I...



sabato, maggio 5

Such a beautiful night...

Una delle serate più piacevoli da molto tempo. E una delle peggiori di tutta la mia vita. Le mie solite contraddizioni, giusto?
Tate è... Niente. È esattamente quello che mi ci voleva, quando mi ci voleva, punto. A volte capita, evidentemente, persino a me.

Mentre l'assurdità di questo stato del cazzo, che si pretende civile poi va braccando i suoi cittadini nei ristoranti eleganti del centro è qualcosa che mi fa ribollire il sangue nelle vene. Sì esatto. E spero tanto che ci abbiano trovato più alcol che DNA, stamattina, durante le analisi.
Con Ragnar che faceva lo spiritoso... Come accidenti fanno a vivere tutto questo come normale? Forse non normale, nemmeno per loro, ma... Sopportabile? Accettabile?
Non lo è, maledizione, non lo è per niente. Non è accettabile essere COSTRETTI. Costretti a farsi prelevare campioni biologici, a farsi schedare come criminali, a farsi infilare un ago nella nuca e dei maledetti "naniti" nel cervello!
Costretti a sopportare che uno stronzo con troppa boria o poca spina dorsale si senta in diritto di fare irruzione nella tua vita in qualsiasi momento, a rovinarti l'esistenza, o quantomeno la serata.

Ma almeno questo glielo abbiamo impedito. Che vadano a farsi fottere.